Lunedì 29, inizio dell’ultima settimana del mese di Giugno. Fine del mese che apre l’Estate e soprattutto fine del Pride Month.
In occasione della chiusa di un mese di così grande rilevanza, mi piacerebbe divagare in un breve excursus sul Cinema Rainbow!
Viaggiando sempre senza arrivare mai, torno a Parigi, Estate 2019, anno dei 100 years of Rainbow Cinema, free exhibition “Fields of Loves”, Hotel de Ville, collaborazione con La Cinematheque Francaise.
Pronti ad un salto nei 100 anni del Rainbow Cinema, dalle sue prime allusioni, attraverso la censura, al riconoscimento di premi?
Cinema Rainbow 100 anni in 5 punti:
- le sue prime tracce si palesano all’inizio del ventesimo secolo con i tre film che hanno creato nuovi stereotipi di un amore omosessuale, destinato a temi di calamità o morte, rispettivamente: The Wings, Mauritz Stiller (1916), Michael, Cari T.Dreyer (1923), Pandora’s Box, Georg W.Pabst, (1928).
- freni di questi germogli saranno il crescere dei regimi totalitari in Europa e in America l’introduzione del Codice Hays, un codice di autocensura elaborato dagli Studi tra gli anni ‘30 e ‘60, per evitare una censura federale spinta da pressioni da parte di movimenti per la moralizzazione dei costumi, forti saranno i segni lasciati da questo “standard etico”, persino in film per noi oramai iconici, come Colazione da Tiffany, ma di questo potremmo forse parlarne poi!
- Giungiamo così al 1969. Moti di Stonewall: per molti, inaugurazione del movimento di liberazione gay, il Codice Hays si frantuma. Siamo nell’Annè Erotique, anno della Rivoluzione sessuale. Interessanti prodotti di questo periodo: Teorema, Pier Paolo Pasolini (1968), Satyricon, Federico Fellini (1969), Morte a Venezia, Luchino Visconti (1971).
- Post-Stonewall, ci dirigiamo verso primi registi che affrontano femminismo e temi di amore saffico (e.g. Chantal Akerman, Barbara Hammer e Ulrike Ottinger). Nel Mainstream si guarda ai personaggi LGBTQI+ con simpatia e al tempo stesso nascono nuove pellicole aperte a rappresentare questa comunità come quelle dirette dal movimento “La Movida” e Pedro Almodovar nel 1980 in Spagna
- Arriviamo così alla scena contemporanea: 2017, un film a tema LGBTQI+, Moonlight di Barry Jenkins, vince un Oscar al Miglior Film, cosa che potrebbe sembrare un’informazione fine a se stessa, se non si considerasse ciò che ha significato in un più ampio respiro: negli ultimi vent’anni, grandi festival internazionali (Cannes, Berlino, Venezia) e i premi di maggior prestigio (Oscars, Cèsars, etc) hanno cominciato a concedere riconoscimenti, poco prima impensabili, sugellando questo orientamento a normalità, ed inoltre, dopo essersi concentrati nel premiare gli attori per la loro “performance” nell’interpretazione di personaggi LGBTQI+, adesso i premi vengono riconosciuti al regista per il suo lavoro: “il piombo degli anni precedenti Stonewall, è stato trasformato in oro, dalla guerriglia, attraverso i moti, alle premiazioni.”
Dunque, in un periodo in cui la fluidità di genere è sempre più in luce e sempre più in discussione, soprattutto sulla base di recenti avvenimenti, forse è bene rispolverare il percorso che ha portato a certe conquiste, certe libertà, oltre la censura cinematografica, ma soprattutto comportamentale, di vita.
Filmer = viver, si dice, il cinema oltre che viaggio immobile, finestra sul mondo; potrebbe, quindi, non far del male guardare quale percorso ci ha portato dove siamo, in funzione di apprezzare, difendere ciò che duramente, chi ci ha preceduto, ha ottenuto, non vanificando i loro sforzi, verso l’occupazione di ulteriori diritti, fields of loves, ancora da conquistare!