L’ideatore dell Art couture Gianni Molaro ci racconta la moda attraverso i suoi occhi.
Intervista a cura di Martina Caputo.
Allora carissimo Gianni, tu sei uno dei volti più noti nel panorama della moda, e nel 2013 sei stato definito dalla rivista “Rendez Vous”, il profeta dell’ art couture, vorrei chiederti quando e come nasce questa tua passione per il Fashion Style?
“Bene, nasce a fine anni ’80 e sognavo di diventare un grande stilista, conosciuto e di aver un atelier in piazza di Spagna a Roma,
tutto questo per me era solo un sogno, e pensavo rimanesse tale, poiché provengo da una famiglia molto umile e con ristrette possibilità.
Non avrei mai pensato di arrivare ad ottenere tutto quello che ho adesso.
Ho lavorato tantissimo per poter inseguire i miei sogni, i miei desideri, per poter fare della mia passione il mio lavoro, la mia vita.
A fine anni ’80, mi sono iscritto all’Accademia della Moda, pagandola con ciò che avevo guadagnato dal mio lavoro dell’epoca e poi ho aperto il mio primo Atelier a San Giuseppe Vesuviano.
Nel 1989 c’è stato il mio primo approccio all’alta moda a Roma e da lì ho iniziato a comprendere pienamente tutto lo Star System della moda, in che modo funzionavano le collezioni, anche se io collaboravo già con aziende per collezioni da bambino e donna.
Quando Santo Versace mi scelse per l’alta moda a Roma, della quale era già presidente, capii cosa la gente e la stampa realmente volesse e come si svolgevano le collezione haute couture.”
E continua..
“Inizialmente devo dire che, nonostante avessi fatto degli abiti che mi piacevano tantissimo, non sono mai uscito, per le prime due collezioni, dal filone couture; abiti molto femminili, scollati derivanti da varie ispirazioni.
Poi nel 2004 decisi di realizzare una collezione completamente diversa da quelle che erano praticamente le collezioni usuali.
In quel momento, inconsapevolmente, ascoltando il mio inconscio ed esprimendo il mio senso, iniziai a realizzare abiti che non vestivano più un corpo, ma che lo sfruttavano nella sua forma e interezza per esaltarsi e prendere quasi vita.”
“Invertii completamente il concetto dell’abito, quindi la donna non era più il soggetto che si copriva e si abbelliva ma era essa stessa che andava a porre l’abito su di un’altro livello, portandolo al punto focale di chi lo osserva, permettendogli di apprezzarne tutte le caratteristiche.”
Ci spiega:
“Questo diverso modo di vestire le modelle e di vivere la moda, ha portato l’ambiente a definirmi “Il Profeta dell’Art Couture“.
Per la prima volta nel 2004, anche se nel mondo non si utilizzava nemmeno, coniai il termine “Art Couture” in quanto prima di allora,
abiti molto artistici quali Cappucci o Paco Rabanne, comunque non rispecchiavano quel che, inconsciamente, creavo con la mia idea di moda, impostandola in un definito segmento ed elevandola ad arte.
Una similitudine potrebbe risiedere nell’opera “Fontana” di Marcel Duchamp (un ready-made dell’orinatoio), la quale rappresenta un oggetto di uso comune che elevato su di un piedistallo con una firma diventa un’opera d’arte.
Considerando, che dietro al mio lavoro, vi erano vari concetti della sartoria tra cui lo stilismo, il modellismo, la pittura; per questo lo definii “Art Couture”, un’opera d’arte concepita e “uscita” da un laboratorio di moda.
Come riesci a dare forma a queste tue ispirazioni e a creare questi abiti raffinatissimi, con anche dettagli importanti, che ti contraddistinguono nel campo della moda? A cosa ti ispiri?
“Nella mia testa non nasce mai solo un’idea, perché se io dovessi pensare di dar forma ad una sola idea risulterebbe il tutto troppo monotono e noioso, quindi diverrei semplicemente il “Gianni Molaro dell’alta moda”.
Io, invece, ho bisogno che dalla mia testa escano diverse diramazioni concettuali e quindi l’idea del prêt-à-porter, l’idea del couture, dell’art couture.
Poi vi sono l’idee dell’architettura, dell’oggettistica, della scultura; fondamentalmente devo liberare tutto quel che ho dentro in ogni forma creativa.
Mi piace pensare a questo concetto affiancandolo a quel che è stato per noi il “Rinascimento Italiano“, gli artisti del rinascimento italiano erano coloro che disegnavano abiti, chiese, case.
Erano scultori, pittori, individui che a loro volta venivano influenzati e avevano le capacità di pensare ed esprimere idee che andassero a sfociare anche in altri campi.”
e dal suo punto di vista ci dice che..
“I pittori al tempo erano di per sé anche scultori, architetti, studiosi.
Posso dirti che “l’idea nasce da tutto” e non vi è nulla di predefinito e unilaterale, alle volte queste nascono da una pianta, da un immagine, da dipinti, da sensazioni.
L’idea nasce da un qualcosa che ti permette di entrare in un mondo nella quale l’idea stessa è completamente diversa dall’immagine che è, in quanto è stata solo un mezzo per elaborare altro e quindi solo una fonte di ispirazione.
Io stesso mi rendo conto che quando parto con la creazione della collezione è un meccanismo quasi forzato da concetti base quali l’ispirazione della donna, l’esaltazione della bellezza della stessa, poi man a mano che prende forma l’idea, quest’ultima ricade come fosse una cascata d’oro che, influenzandola, quasi a fertilizzarne le componenti, plasma la collezione sull’idea ultima che si è andata a sviluppare.”
Secondo te, come è cambiato il mondo della moda da quando hai iniziato tu rispetto ad oggi?
“Quello che è cambiato fondamentalmente sono i volumi, quando ho iniziato io negli anni ’90 facevo già gli abiti a tubino da sposa con la manica a palloncino, stretto sotto con tutti i bottoncini, con il cinturone e il gonnellone sopra.. ecco, li sto riscoprendo tutt’oggi.
Quello che facevo 30 anni fa quando ho inaugurato gli Atelier, lo sto riproponendo in questo momento, in una chiave di lettura e in proporzioni differenti.
Ad esempio: questo è il momento, rispetto gli anni ’90, nella quale vanno molto di moda le spalle scoperte ma il tubino al posto del girocollo avrà una scollatura più profonda da riproporre anche dietro sulla schiena.
Quello che cambia è il modo di esporre la femminilità, in una maniera tutt’altro che semplicistica! Avendo un impronta più indirizzata verso l’accrescere della seduzione nel soggetto che lo veste.”
Esponendoci il suo concetto di cambiamento esordisce:
“Stiamo tornando, come ti dicevo poco fa, al Rinascimento, epoca nella quale le donne scoprivano molto i loro seni, che all’epoca erano importanti, portandoli anche in maniera prorompente verso l’alto, senza limitarsi solamente al mostrare le spalle.
I colori possiamo dire che, invece, vanno e vengono.
Altro particolare che mi sento di dirti è per esempio che quando cominciai andava molto lo chantilly o il pizzo rebrodè, cosa che invece negli anni 90′ e inizi 2000 andò molto poco in quanto si passò più al ricamato.
Sul finire degli anni 2000 invece tornò il pizzo, nuovamente poi sostituito dal ricamo negli anni 2009/2010.
E’ un ciclo, nella quale varia la proporzione, questo per quanto riguarda gli abiti da sposa.”
Discorso differente immagino sia fatto per la “Maison Gianni”, giusto?
“Certo, se andiamo a vedere il prêt-à-porter e la cerimonia, alla fine il discorso è quasi lo stesso.
Effettivamente, il cambiamento nella moda è un qualcosa di lento e graduale, mai tutto insieme.
Ci saranno sicuramente proposte cicliche che hanno segnato il mondo della moda passata, che verranno riproposte nel mondo contemporaneo.”
Possiamo dire che non vi è un evergreen nel mondo della moda, ma più un continuo cambiamento e ritorno al passato..
“Ecco, riguardo il ritorno al passato posso dirti che contrariamente a quel che si pensa, anziché dare una forma o un immagine della donna in senso antico, la rinnova addirittura dandole un aspetto quasi futuristico e moderno. Io credo che questo sia il momento, anche dopo il lock-down, dove la moda deve apportare, attraverso la tecnologia, un sostegno più innovativo.”
“Un po’ come accadde negli anni ’60, prima della guerra avevano abiti con gonne lunghe e spalle coperte, mentre in seguito la moda cambiò tantissimo e ancor di più nei decenni a venire degli anni ’70 e ’80 dove si creò un altro mondo del vestiario.”
“Una crisi la potremmo identificare negli anni ’90, dove non si esaltava più l’abito e la moda in se ma la modella che lo vestiva. Io la considero una crisi in quanto non si parlava più dell’abito e la moda era morta poichè si parlava solo di modelle, dando a parer mio importanza ad un ruolo che non aveva senso.”
“Oggi credo che, dopo la crisi del 2008 e quella odierna, ci sia bisogno di una rinascita e di una visione nuova del mondo odierno. Penso anche che, questo cambiamento non debba essere dettato solamente dalla figura dello stilista, ma debba essere supportato anche dalla tecnologia.”
“Nel periodo odierno vi è un massiccio bisogno della tecnologia nelle maglierie, che influenzino il modo di cucire gli abiti, con noi stilisti che attendiamo il momento nella quale un computer possa vestire addosso ad una persona il vestito perfetto per essa pensato e generato in mezz’ora di tempo.”
E’ un po futuristico, ma il futuro per me è domani!
Secondo te, adesso, anche il mondo delle sfilate, come cambierà con questa pandemia e come si evolverà rispetto anche la tecnologia la quale facevi riferimento poco fa?
Guarda, quest’anno purtroppo le collezioni subiranno sicuramente uno scossone, in quanto non usciranno per tempo a causa appunto di questa emergenza in atto.
Addirittura proporrei una cosa, visto che la moda estate è già tutta nei negozi, proporrei di congelare le collezioni e lavorare direttamente per l’autunno/inverno e riproporre tutto per l’anno prossimo.
E’ innegabile che i negozi abbiano subito una perdita, perciò l’ideale sarebbe congelare tutto e risparmiare una collezione per il prossimo anno.
Dovrebbe essere il titolo dell’articolo questo.
Ridendo continua.
I negozi prêt-à-porter hanno subito delle perdite enormi, basti pensare che questo era il periodo delle cerimonie, del matrimonio, ma abbiamo perso una stagione con merce già prodotta nei negozi.
Ti pongo una domanda che sa di curiosità da parte del magazine, tu sei un tutor all’interno del programma “Detto Fatto” e conduci “L’Accademia della Moda”, che ne pensi di un futuro da conduttore in un programma tutto tuo?
Io sto molto bene a “Detto Fatto“, ambiente nella quale si è creata una famiglia, però se un giorno il pubblico dovesse volere questo tipo di contenuti in un palinsesto che non sia Rai o Mediaset, mi piacerebbe tantissimo.
Il mio scopo non sarebbe tanto quello di avere una trasmissione tutta mia, ma l’obiettivo starebbe proprio nel piacere di avere uno studio pieno di ragazzi alla quale trasmettere quella che per me è la passione più grande, come fossimo nel programma dell’ Accademia dell Moda“, ma senza limitarsi a due soli ragazzi.
Mi piace vedere questo concept come una fucina di creatività.
Al mondo televisivo effettivamente servirebbe più programmi di questo genere, dove si va a stimolare la creatività dello spettatore, a parer mio.