In questi giorni di “quarantena” ho rivalutato molte vecchie passioni. Chi non l’ha fatto? Tra queste c’è senza dubbio l’ascolto forsennato di musica, quando il termine forsennato non rende bene l’idea, e la riscoperta di certi amori che avevo da adolescente. Mi sono ricordato di quando da piccolo stavo seduto fuori dalla porta della camera di mio fratello, aspettando che lui e i suoi amici mi aprissero e mi facessero ascoltare con loro quella musica che nascondeva, nell’intimo, un po’ di dolore. Stavo ore dietro quella porta e volevo diventare grande in fretta per suonare forte quegli artisti. Quali? I Pearl Jam, i Nirvana e gli Alice in Chains.
Quando nel presente ritrovi i ricordi
Oggi quando ascolto Nutshell, vi invito a cercarla, mi commuovo perché penso a certi momenti, a chi mi ha fatto conoscere quella musica, a mio fratello che magari mi leggerà da lassù e al quale oggi vorrei fare ascoltare un ragazzo pugliese che mi ricorda certe sonorità. Foggia, per me dopo questa quarantena, sarà la nuova Seattle. Lui si fa chiamare Ed Stone, ma anagraficamente è Giuseppe Barbone, e lo conobbi in studio di registrazione un paio di anni fa, a pensarci bene già allora mi suonò familiare, mentre incideva un progetto acustico. Dissi a Mao che la sua voce mi ricordava Ed Vedder. Mao è un bassista che mi aiuta nei progetti musicali, il quale prima mi disse che non ci assomigliava proprio e poi ci ripensò.
Quando scopri qualcosa di bello vuoi condividerla con le persone che ami
Avrei voluto farlo ascoltare a mio fratello che amava quelle voci sporche, imprecise e cariche di sofferenza, quelle che raccontano qualcosa già dai respiri. Gli avrei detto: “In Puglia c’è uno scorcio della Seattle musicale degli anni ’90”. Forse mi avrebbe dato del pazzo, ma io ho sentito nella voce e nel suono di Ed Stone quella stessa empatia e sofferenza che avvertivo da piccolo mentre stavo, accovacciato, fuori dalla stanza dei grandi. In questo periodo ho rivalutato tante cose e di certo il gusto personale è sempre discutibile ma le emozioni no, quelle sono tue e basta. Ho ritrovato su Vevo una di quelle canzoni incise in quello studio e l’ho riascoltata molte volte anche mentre impastavo la pizza, come tutti in questi in questi giorni. La canzone è Chains, cioè s’intitola così e magari cercatevela. L’ho ritrovato sulla sua pagina facebook e gli ho chiesto il telefono per sentirlo.
Ringrazia chi ti fa provare l’emozione dei ricordi
L’ho chiamato e gli ho detto che la sua pagina è assurda, nel senso buono del termine, perché visitandola ho trovato naturalezza e nessuna costruzione del personaggio. Ricordo di avergli detto: “Anche il modo in cui vesti sembra Seattle”. Adesso magari sembra senza senso ma lui mi ha capito, di sicuro anche voi, e magari sono solo paranoie mie. Gli ho raccontato di quando da piccolo… già voi lo sapete e che volevo dedicargli una pagina del mio Diario di una persona normale per raccontare che avevo trovato un artista che mi ha fatto ricordare l’infanzia e che mi ha emozionato come quelle voci un po’ tristi e cariche di qualcosa che non si riesce mai a spiegare, ma che sta lì e ascolti. Punto, semplicemente ascolti. L’ho ringraziato per questo. A lui è parso strano ma gli ha fatto piacere. Voi non avete mai detto grazie a chi vi ha fatto rivivere un ricordo?
Ringrazio Domenico Fioredda per il contributo fotografico.